Finalmente riesco a tornare da voi con una nuova puntata di Dusty Readings.
La “rubrica” dedicata alle letture polverose era partita benone nel 2013 e sono riuscita a mantenere il proposito di rileggere ogni mese un vecchio libro di cui serbavo un bel ricordo, fino a maggio… mese in cui mi sono drasticamente arenata su “Discesa all’inferno” di Jeff Long. Magari quelli di voi più attenti ai dettagli avranno notato la copertina del suddetto romanzo sotto la voce “Dusty Reading del mese” e ci è rimasta fino a un paio di settimane fa, quando mi sono decisa a prendere in mano un nuovo libro impolverato. Se mi avessero chiesto il mio parere sul libro di Long – prima che provassi a rileggerlo – avrei dato 5 gufi senza pensarci un attimo ed era davvero tanto che volevo rispolvearlo… solo che forse non era il momento, la storia è così complessa e i dettagli cosi numerosi che ho finito col trovarlo pesante e noioso! È stato frustrante non riuscire ad apprezzare un romanzo di cui avevo un ricordo così vividamente positivo, quindi alla fine mi sono arresa e l’ho accantonato senza finirlo, con il proposito di riprenderlo più avanti.
Molto più fortunata è stata invece la scelta successiva che è caduta su un libro che di polvere ne aveva sopra davvero tantissima. Si tratta di un libro del 1984, anno a cui risale proprio l’edizione in mio possesso. Considerando che a 8 anni non avrei mai potuto leggere un romanzo di questo genere vuoi per la complessità di lessico e contenuti, vuoi perché mia madre lo avrebbe lanciato dalla finestra piuttosto che lasciarlo nelle mie manine, è scontato che il volume appartenesse proprio a mia mamma e che io me ne sia appropriata in seguito, non appena sono stata in grado di leggerlo (quindi direi quattro o cinque anni dopo… non ricordo con precisione). Il libro è talmente vecchio che le pagine sono tutte ingiallite sui bordi e mentre lo rileggevo mi auguravo che la rilegatura non decidesse di arrendersi, spargendo pezzi di romanzo per tutta la stanza! Però ha retto fino alla fine e sono proprio contenta di aver rispolverato questo titolo.
Ma prima di continuare ecco di cosa stiamo parlando:
DOLCE, CARA AUDRINA
Di V.C. Andrews
Editore Sonzogno (1984)
Pagine 372
TRAMA: Vita strana, quella di Audrina. Una madre affettuosa ma un po' distratta, un padre che l'adora e sembra volerla proteggere da tutto e da tutti. A costo di farne una reclusa. Tuttavia nella sua vita così quieta e riparata c'è più di un mistero. Audrina non sa quanti anni ha. Audrina ha una sorella scomparsa in circostanze oscure che ora riposa, dicono, al cimitero. Audrina ha un ricordo ossessionante: quello di una notte lontana, di una foresta sotto la pioggia, e di una bambina seviziata, forse uccisa...
Sono andata un po’ in giro sul web, ma mi risulta che questo titolo sia ormai fuori catalogo ed è un vero peccato perché vi anticipo che è una lettura che consiglio caldamente a tutti!
Si tratta di un libro molto particolare: è stato definito horror, ma non è un vero e proprio horror, per quanto l’atmosfera gotica e l’angosciante claustrofobia che emergono dalle pagine contribuiscano a renderlo una lettura che tiene costantemente con il fiato sospeso. Forse è più simile a un thriller, considerando che non c’è tutto quel soprannaturale che inizialmente sembra farla da padrone… a tutti i misteri c’è una spiegazione razionale, anche se resta una certa sensazione di perplessità che accompagna il lettore fino all’ultima pagina. Ma neanche “thriller” gli calza alla perfezione. Non avete ancora capito nulla?! Ovvio, vi sto tenendo un pochino sulle spine, ma sto anche cercando di dirvi che Dolce, cara Audrina è un romanzo che non assomiglia a nessun’altro che io abbia letto.
La storia narra di Audrina, una bambina che vive in un’immensa casa lontana chilometri dal primo centro abitato, circondata da boschi e pervasa di ombre, sia fisiche che psicologiche. Già, perché Audrina non è una bambina come tutte le altre; lei non ricorda quasi nulla del suo passato e non riesce ad avere la cognizione delle scorrere del tempo se non grazie ai suoi famigliari che le dicono quando è Natale, primavera o estate. Tutti gli orologi nella grande dimora segnano orari diversi e non esistono calendari o televisioni… potrebbe essere qualsiasi giorno di qualsiasi anno… ma per Audrina non fa molta differenza, perché la sua testolina è quasi vuota. Ma voglio sottolineare il quasi, perché la piccola (all’inizio del libro parrebbe avere 7 anni) si rende conto che ogni cosa intorno a lei sembra sbagliata e che tutti sembrano sapere di lei più di quanto lei potrà mai ricordare, solo che non sono disposti a dirglielo. Re incontrastato di questo dominio è il padre di Audrina, una figura autoritaria che incute un certo timore e che inculca nella figlia insegnamenti assurdi e una paura invalidante verso tutto il genere maschile (ad eccezione ovviamente di lui stesso). Non contento, questo padre-padrone la costringe a sedersi su una sedia a dondolo appartenuta alla precedente e migliore Audrina (un’omonima sorella morta il giorno del suo nono compleanno), con la speranza che ne assorba le doti che la rendevano così speciale.
Questa è la base da cui parte il romanzo della Andrews, ma si tratta soltanto della punta dell’iceberg e vi assicuro che è un iceberg davvero molto grosso, tipo dieci volte quello che affondò il Titanic.
La storia è narrata in prima persona da Audrina, quindi il lettore vive in diretta la sua angoscia, il suo senso di inadeguatezza, le sue paure e tutti i suoi dubbi… con la sola differenza che chi legge non ha l’ingenuità della fragile protagonista e riesce a notare ingiustizie e “follie” che Audrina cerca di giustificare.
Il romanzo copre un periodo di svariati anni e conduce la piccola Audrina attraverso l’infanzia e l’adolescenza, fino a vederla diventare una giovane donna che ancora non ha scoperto i segreti più profondi del proprio passato. Nel frattempo il lettore inizia a farsi le sue teorie su quello che potrebbe nascondersi nelle ombre dei ricordi dimenticati. Io da parte mia partivo avvantaggiata, perché l’avevo già letto una volta. Ovviamente non ricordavo davvero nulla dopo più di vent’anni, se non una delle rivelazioni più importanti che appaiono verso la fine del libro e una scena tra Audrina e sua cugina Vera che mi era rimasta impressa come un’istantanea nella mente… tutto il resto era nebuloso, proprio come la memoria della protagonista. Quindi ho avuto nuovamente il piacere di scoprire passo passo tutto quello su cui avevo fatto congetture per 300 pagine.
Dolce, cara Audrina è un autoconclusivo – allora non andavano minimamente di moda le trilogie e le saghe – quindi l’autrice semina per tutto il tempo indizi e dubbi sulla verità, ma prima dell’epilogo dà una risposta a tutto e ricompone il puzzle di “Audrina” senza lasciare più buchi.
Si tratta di un’opera estremamente curata (soprassedendo sul lavoro di editing fatto nella prima edizione italiana che ho scoperto con stupore piena zeppa di refusi) in tutti i dettagli, dalle descrizioni all’intrecciarsi delle storie. Tutti i personaggi vengono approfonditi attraverso la conoscenza che ne ha Audrina, che malgrado la sua diversità è un’ottima osservatrice e vede spesso sfumature che ai più magari sfuggirebbero, dipingendo per il lettore un quadro estremamente vivido dei suoi famigliari e delle persone che prima o dopo faranno parte della sua vita. In alcuni momenti il linguaggio era forse troppo complesso, soprattutto per la parte in cui la protagonista è ancora piccola, con metafore e terminologie che non potrebbero mai venire in mente a una bambina, ma tutto lo stile dell’autrice è molto ricercato. Non che questa sia una critica, perché ho apprezzato talmente tanto tutto il libro nel suo insieme, che anche dove la prosa appariva un tantino pesante, la lettura ha continuato a scorrere come un treno senza freni.
Non ricordavo per nulla quanti eventi avrebbero costellato la vita di Audrina e tantomeno quante perdite, tante, troppe e troppo dolorose per una persona sola, si sarebbe trovata ad affrontare.
Dolce, cara Audrina tratta temi molto profondi e drammatici, come i maltrattamenti psicologici sui minori, lo stupro e la violenza domestica e tutti questi argomenti non vengono certo “indorati” in alcun modo. Ma di fianco a questo troviamo anche sentimenti più comuni come l’indissolubilità dei legami famigliari, l’amore, l’invidia e l’odio… con tutte le conseguenze spesso disastrose che un eccesso di ciascuno di essi può portare.
Nella vasta dimora che fa da sfondo alla vita di tutti i personaggi, uomini e donne sembrano avere destini differenti: le figure maschili non sono ritratte in toni positivi, anzi direi che ne escono piuttosto maluccio per un motivo o per un altro; le donne di Whitefern (questo il nome della casa) invece sono tutte tormentate nell’animo e sembra che fra quelle antiche mura per loro sia impossibile raggiungere la felicità, ma malgrado questo sono incapaci di andarsene.
Virginia C. Andrews guida magistralmente il lettore attraverso le stanze di Whitefern e attraverso le storie che vi si intrecciano, facendo sempre attenzione a mantenere vivo e pulsante quel senso inquietudine che per assurdo impenna nei momenti più tranquilli e apparentemente sereni, del tipo “ecco, adesso succede qualcosa!”… e quel qualcosa succede sempre. Non è una lettura concitata o adrenalinica – anzi ammetto che in alcuni rari momenti rallentava eccessivamente di ritmo - ma crea una suspance che ti impedisce di abbandonare la storia finché non hai scoperto i segreti che sono stati taciuti per anni e anni, condizionando la vita di tutti quelli che ne hanno fatto parte.
Bello, originale e coinvolgente, Dolce, cara Audrina è stata una rilettura che non ha assolutamente deluso le mie aspettative e che si è riguadagnata i 4 gufi che speravo di darle. Rinnovo il consiglio di ricordarvi questo titolo: anche se non si trova più in vendita esistono sempre i mercatini dell’usato! Se vi capita tra le mani, fateci un pensierino, non ve ne pentirete.
E con questo passo e chiudo :)